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Aringo e il ritorno di Sant'Antonio
Della vecchia festa che per anni è stata un po' dimenticata ricordo, che nel mese di
Gennaio si portavano fuori tutti gli animali e il prete li benediceva. Sono sincero,
della "paniccia" non avevo un ricordo nitido.
Immaginavo fosse un piatto povero e particolare perché a quei tempi la paniccia si
mangiava all'alba e a quell'ora i bambini non è molto bello farli alzare.
Comunque ad Aringo da un paio di anni si è riscoperta questa tradizione e la cosa è
molto apprezzata e allora mi sembra doveroso ringraziare gli artefici principali.
Carlo, Gabriella, Ivana, Lena, Lorenzo, Luciana e mi scuso se ho dimenticato qualcuno,
sono insieme all'associazione Aringo Club il motore di questa e tantissime altre
iniziative che danno lustro al nostro paese. Con un menù luculliano a base di paniccia,
panonta, zampitti e dolci vari si è festeggiato in maniera degna il nostro sant'Antonio.
Ancora una volta Aringo risponde in maniera importante e la speranza che l'anno
prossimo ci sia una presenza ancora maggiore aiuta tutti a lavorare sempre nella
collaborazione.
La considerazione più importante è che in questi tempi di perdita di valori e di
tradizioni si inizia a invertire una tendenza che sembrava inarrestabile. Chissà che
piano piano non si riesca a capire che alla fine la cultura contadina e semplice di
una volta probabilmente era migliore del nostro tran-tran quotidiano.
Come diceva un vecchio saggio le idee e le tradizioni camminano necessariamente con
le gambe delle persone e allora lunga vita a coloro che si caricano sulle spalle
questo dolce fardello da tramandare a quelli che verranno.
Gennaio 2010
ARINGO: nostalgia di Aringroup
Anche quassù in montagna si sta uscendo faticosamente dalla stagione invernale e ci
si proietta con l'immaginazione alla prossima stagione estiva. Si sente forte il
bisogno di riaccendere la nostra estate con qualcosa di forte a livello emotivo che
faccia dimenticare l'estate duemilanove,anzi l'intero anno passato per le note vicende
che hanno interessato il nostro territorio aquilano. Si deve ripartire con uno spirito
nuovo e nonostante i tempi non siano dei migliori dobbiamo risvegliare i sopiti
entusiasmi. Io non mi stanco mai di ripeterlo ma penso che in tempo di crisi non c'è
niente di più saggio che rifugiarsi nei nostri vecchi paeselli e riscoprire le piccole
grandi cose di una volta. Per i viaggi esotici aspettiamo tempi migliori.
Allora noi ad Aringo abbiamo una possibilità e una risorsa unica: l'Aringroup.
Negli anni passati hanno creato un entusiasmo e un coinvolgimento senza precedenti
sia in paese ma anche in tutto il territorio limitrofo riportando in primo piano tutte
le tradizioni, le storie, le vicende e soprattutto il dialetto che con il passare
delle generazioni rischiavano di essere dimenticati. Si paventava una romanizzazione
totale. E allora io mi permetto di esortare l'amico Fabio D'Amico (anche il gioco di
parole gli rende onore) a riprendere in mano quei "discolacci"
dell'Aringroup per poter almeno per una serata rivederci insieme a tutti gli
appassionati e riascoltare l'Ottavaru e tutte le altre stupende canzoni.
So che le difficoltà di chi fa le cose a "remissione" sono a volte
insormontabili e so anche che il lavoro e gli impegni che ci travolgono sempre di
più non lasciano il tempo per fare quello che vorremmo, però a volte è necessario
staccare la spina per dedicarsi un po' allo spirito. Sono sicuro che questo appello
non cadrà nel vuoto. Rivivere per un giorno le emozioni che legano tutti noi al
passato dei nostri nonni e anche nostro è qualcosa a cui non possiamo e non dobbiamo
rinunciare. Dico questo non perché si debba vivere di soli ricordi o di nostalgie,
che è una cosa sbagliata, ma lo dico perché dal nostro passato si possa trarre la
forza e il coraggio per affrontare un futuro che sembra molto nebuloso e cosparso di
difficoltà.
Aprile 2010
Aringo e la storia di Andrew
A giugno 2010 c'è un appuntamento molto importante ed atteso in tutto il mondo sportivo
e non. Si svolgeranno i mondiali di calcio per la prima volta in un paese africano e
precisamente in Sudafrica un paese lontanissimo e quasi sconosciuto dalle nostre parti.
Una svolta epocale e che potrebbe essere lo spartiacque verso uno sviluppo più
equilibrato e globale nel vero senso della parola.
Vi chiederete cosa possa "azzeccarci" il lontano Sudafrica con il nostro
piccolo Aringo, ed invece c'è una storia che mio padre mi ha raccontato più volte,
con molto trasporto e con molta ammirazione verso quel prigioniero sudafricano che
capitò in tempo di guerra (parliamo della seconda guerra mondiale), e che penso valga
la pena di ricordare
Lo chiamavano Andrea in paese, ed era entrato in simpatia quasi a tutti.
Penso soprattutto alle ragazze per il fisicaccio e l'aspetto esotico di chi viene da
lontano evocando sogni ed aspirazioni reconditi, ma anche ai ragazzini come mio padre
che ne apprezzavano le capacità atletiche, la scaltrezza nell'uso delle armi
soprattutto quelle più conosciute a quei tempi tipo l'accetta o i coltelli.
I tedeschi però non ne avevano la stessa considerazione, anzi lo braccavano
considerandolo elemento assai pericoloso da eliminare al più presto.
Una spiata (purtroppo anche e soprattutto a quei tempi le gole profonde erano presenti)
permise ai tedeschi di tendergli una trappola, ma lui scappò verso via della Forconia.
Sembrava ce l'avesse fatta, ma il salto di una recinzione gli fu fatale per un filo
spinato che lo agganciò ad una gamba permettendo a due tedeschi di raggiungerlo e
catturarlo. Mentre lo riportavano strattonandolo verso l'ufficiale, questi con la
pistola spianata lo minacciava dicendo che gli avrebbe sparato in fronte. E quei
ragazzini, forzatamente già grandi, (tra cui mio padre) vivevano quella scena che noi
oggi vediamo nei film (loro di certo non lo conoscevano) in cui il buono camminava con
il braccio a copertura della fronte e per cercare di prevenire le mosse del suo
carnefice. E chissà cosa avrebbero dato per fermare quella mano omicida e salvare il
loro eroe. Ma il cattivo era cattivo per davvero e sparò con rabbia verso la fronte di
Andrea colpendo quel braccio sollevato, provò a sparare un un'altro colpo ma la pistola
si inceppò. E allora tutte le doti atletiche di Andrea furono messe alla prova in una
corsa disperata verso la libertà e la vita e penso che anche il tifo di quei ragazzi
abbia potuto deviare tutte le pallottole che i tedeschi gli spararono alle spalle.
Dopo varie peripezie che mio padre conosce e che mi farò raccontare, riuscì a salvarsi
e a tornare in Sudafrica.
Per i ragazzi di Aringo era l'eroe della loro giovinezza e l'emblema di una libertà
agognata e finalmente trovata. Andrea è tornato una trentina di anni fa con la moglie
a trovare mio padre e gli altri ex ragazzi, l'episodio che ricordava con maggiore
affetto e simpatia era quando molto affamato mangiò tanta ricotta e siero caldo e
ridendo diceva che gli aveva creato molti più problemi di cento tedeschi
(intestinali naturalmente)!
Giugno 2010
La "ncamata"
A quelli come noi, cioè a quelli che io orgogliosamente chiamo "de paese",
piace scandire il tempo con le incombenze del lavoro agricolo e con le scadenze che ci
dava la natura. E quindi ogni periodo dell'anno volenti o nolenti ti dava delle cose da
fare e non potevi farne a meno. Di questo periodo qui da noi, chiaramente in ritardo
con la pianura, era il tempo della mietitura e ci sarebbe da scrivere per ore per
raccontare tutta l'odissea che si affrontava da quando "serricchiu" alla
mano si andava a "mete" e si facevano "li Manocchi" e poi si
faceva la "cavalletta" e poi si portava all'ara il grano e si faceva la
"mucchia". E poi quando arrivava la trebbia era quasi una festa.
Una festa di fatica, polvere e sudore ma la soddisfazione della conta dei sacchi di
grano ripagava ampiamente di tutto il lavoro fatto. Ma io oggi non voglio parlare
della grande importanza che aveva il grano nell'economia agricola del tempo passato
ma di un prodotto della trebbiatura che sicuramente molti non conoscono e che adesso
non esiste più:la cama. La cama era quella parte molto polverosa che si separava
dalla paglia durante la trebbiatura e che veniva raccolta con dei lenzuoli e stipata
per l'inverno per "appagliare" i vitellini o altri animali che nascevano in
inverno. Questo è quello che normalmente accadeva, ma c'era un uso di quella cama che
era sicuramente stupefacente. Quando all'Aringo c'era un matrimonio la mattina della
cerimonia per le vie del paese immancabilmente si vedeva una striscia di quella
benedetta, anzi maledetta cama, che si snodava dalla casa di uno o di tutti e due gli
sposi e andava a toccare la casa di qualcuno che ben sapeva il significato della
"ncamata". Quel qualcuno era il lasciato o la lasciata di turno.
Era un onta e una vergogna indicibile e allora si vedevano affannarsi con le scope
parenti ed amici degli "ncamati" per far sparire quella striscia di disonore.
E comunque quell'argomento dominava la giornata e le successive ed era motivo di
divertimento e di sfottò. Adesso queste storielle di paese quelli che hanno studiato
le chiamano gossip, e ci sono non so quanti giornali specializzati che raccontano
tutte le corna vere o presunte di tutti i cretini famosi di questo mondo senza cama.
Meglio così, oggi penso sarebbe molto ma molto difficile trovare la cama per raccontare
tutte le storie perverse di cui quasi tutti facciamo parte.
Agosto 2010
Miracolo nella Parrocchia Santissimo Salvatore
E', finalmente terminata l'opera di restauro della Chiesa Parrocchiale del Santissimo
Salvatore di Aringo.
Dopo i lavori di consolidamento e messa in sicurezza, a seguito del sisma dell'aprile
2009, effettuati dalla protezione civile unitamente alla Soprintendenza dei Beni
Culturali, si è verificato il vero "miracolo"!
Si è messa in moto, con la supervisione del Parroco don Serafino Loiacono, una macchina
organizzativa per i lavori di ripristino effettivo della Chiesa, durati alcuni mesi.
Tutto il popolo di Aringo ha contribuito alla realizzazione di questa opera con
risultati veramente eccezionali. Si è decisa l'esecuzione di alcune migliorie interne
in muratura che hanno portato alla luce una meravigliosa zoccolatura di pietre
"a vista" nonché alcune nicchie con affreschi ed un tabernacolo in pietra,
di cui si ignorava completamente l'esistenza,pare risalente ad alcuni secoli fa.
Molti altri lavori di abbellimento sono stati effettuati così che questa chiesa sembra
del tutto diversa e sicuramente molto più bella! merito di tutto questo va, come detto
prima, alla generosa collaborazione degli Aringari che, nell'occasione, oltre ad aver
donato volontariamente denaro per far fronte ai pagamenti dei maggiori lavori eseguiti
e del materiale acquistato, si sono improvvisati pittori, falegnami, elettricisti,
restauratori, arredatori, trasportatori ecc.
In particolare non si può non ricordare le persone che maggiormente, sacrificando il
proprio tempo, si sono assunte l'onere di coordinare e realizzare di fatto i lavori.
Fino a questo punto sono stato un fedele copiatore di quello che gentilmente hanno
esposto Lena ed Alberto Di Giammarco. Però vorrei dire un fortissimo grazie oltre ai
già citati Alberto e Lena a Luciana, Delia Ivana, Lorenzo, Cecilia, Nadia, Bruno,
Lucia, Maria Teresa, Pietro, Gabriella, Francesca, Berardo, Vittorio sperando di non
aver dimenticato alcuno.
In un periodo dove di miracoli non se ne vedono troppi ancora una volta Aringo si è
distinto e il "miracolo" e avvenuto. Siamo sicuri che ne avverranno ancora
degli altri.
E qui devo scomodare nonna mia che diceva in casi come questi: "chi ha fattu stu
bene ne pozza fa tantu atru ancora".
Settembre 2010
Ciao Mamma
I miei (pochi) lettori questa volta mi perdoneranno se uso la loro pazienza per
parlare di una vicenda mia personale. Sicuramente nella mia vita non avrei mai voluto
scrivere questo pezzo, e mi sono arrovellato molto la coscienza per capire se fosse o
no il caso di farlo. A volte quando mi capita di essere un po' giù di corda e mi
ritornano in mente le persone e le cose che non ci sono più vorrei scrivere una lettera
ad un amico che ci ha lasciato prematuramente, per potergli dire tutte le cose che non
sono riuscito a dire quando forse avrei potuto farlo. Ma poi ci ripenso e non lo faccio
mai perché sicuramente andrei a cadere nella retorica e otterrei il risultato di
sembrare un vecchio melanconico ed ipocondriaco.
Questa volta però non posso esimermi da scrivere un saluto e un dialogo con mia madre
che è ritornata ad abbracciare una parte dei suoi affetti più cari. I suoi genitori, i
suoi quattro fratelli ,sua sorella e tutti gli altri a cui lei aveva voluto bene.
Vorrei dire tante di quelle cose che non me ne viene in mente neanche una.
Vorrei chiedere scusa per tutte le volte che voleva da me un sorriso o una parola ed
io preso dai mille stupidi problemi di questo mondo sono sfuggito. Vorrei, vorrei,
vorrei..
E mi viene in mente un vecchio adagio che diceva così: "quanno potia non volli, mo che
vorria non posso". E allora è inutile farsi prendere dai rimorsi e dalle nostalgie ma
invece dobbiamo portare con noi le cose belle di coloro che se ne vanno prima di noi e
trasmetterle a quelli che vengono. Mamma diceva: "chi ha la mamma non piange mai" e io
non capivo. Adesso capisco e credo che tutte le frasi e i consigli che le nostre mamme
ci danno o ci hanno dato sono un bagaglio grande e meraviglioso che ci spinge verso il
futuro. Con la mamma se ne va un pezzo di noi il pezzo più bello: la pazienza, la
tolleranza e il perdono. Dico solo queste tre cose ma ne potremmo dire mille. Ma la
pazienza con cui ci hanno fatto crescere, la tolleranza di tutte le cose storte che
gli abbiamo fatto e il perdono totale per qualsiasi cosa un figlio possa fare sono
racchiuse nella parola mamma.Quando se se ne va una mamma di Aringo o di qualsiasi
altro posto del mondo tutti in piedi e battiamo le mani sperando che dal posto dove si
trovano ci guardino e ci sorridano sempre e ci diano la forza per continuare ad
affrontare questo mondaccio boia!
Voglio poi ringraziare di cuore i tantissimi che hanno manifestato la loro solidarietà
e il loro affetto.
Ottobre 2010
L'asenu e lu porcu
Molto spesso mi viene da parlare di questo animale che è diventato assai raro.
Il somaro sta scomparendo ma non a caso, perché la cultura della fatica e del duro
lavoro si è pensato che appartenesse a degli uomini poco intelligenti provenienti da
un passato da dimenticare. E allora se una volta c'erano molti somari e pochi maiali
adesso paradossalmente abbiamo pochissimi asini e una quantità industriale di porci.
E allora mi viene in mente una storiella che porta in se una metafora molto profonda
che fotografa in maniera molto calzante il mondo di oggi. La si raccontava ad Aringo
negli anni passati ma penso che sia patrimonio di tanti paesi e molte comunità.
In una delle tante stalle del paese come ogni sera rientravano gli animali che avevano
passato la giornata in campagna. Tra questi il povero asinello che era quello che più
di tutti non vedeva l'ora di potersi riposare un po'. Al rientro oltre a trovare una
cena non proprio ideale e cioè la "mesticanza" fatta quasi tutta di paglia e un po' di
fieno trovava il grasso maiale bello spaparanzato e satollo (chiaramente come un porco).
Mentre il povero animale si accingeva silenziosamente a sgranocchiare quel pasto assai
sgradevole, quell'altro in maniera beffarda e strafottente lo apostrofava con frasi
assai offensive. Ma non lo vedi come ti trattano: ti sgridano, ti mettono lu mastu,
ti caricano la soma, ti bastonano, ti dicono un sacco di parolacce, ma che vita è la
tua? A me invece portano da mangiare in abbondanza, mi trattano bene e non mi fanno
lavorare mai, questa si che è vita! Il povero asino scrollava le spalle e continuava a
masticare senza dare troppa importanza a quelle parole, ma il maiale insisteva nel suo
insultare e farsi beffa e ridere delle disgrazie dell'altro. Fino a che il povero
asinello avendo esaurito la sua pazienza smetteva di mangiare e voltandosi verso quel
l'interlocutore così maleducato gli disse: caro amico sicuramente tu hai perfettamente
ragione, però adesso che ti sto guardando bene tu non mi sembri "quillu dell'anno
scorsu"!
Novembre 2010
La festa di Luigi
Quando ci si sente profondamente appartenenti ad una terra, e soprattutto ad un paese
o ad un piccolo centro come il nostro secondo me si è delle persone speciali.
Non migliori o peggiori di altre ma semplicemente speciali. Una di queste è
sicuramente Luigi Polidori figlio dell'Aringo di una volta di quell'Aringo più vero
e che spesso si ripropone all'attenzione di tutti. Ha voluto festeggiare in pieno
inverno la sua festa insieme a tutti i paesani alla casa del prete che per un giorno
è diventata centro di una comunità che non disdegna mai la voglia di ritrovarsi.
Era per me doveroso scrivere queste poche righe perché essendo Luigi uno dei più
fedeli lettori delle vicende di Aringo, meritava la menzione per una sua bella
iniziativa. Una volta mi ha detto: certo è difficile raccontare di una piccola realtà
dove succede poco o niente? E io gli ho risposto che ogni parte del nostro mondo ha
sempre delle cose da raccontare a volte brutte ma vivaddio anche di belle.
Come al solito il gruppo di lavoro che si occupa della parte organizzativa ha svolto
magnificamente il compito con un pranzo veramente ottimo. Non mi stanco mai di
ricordare gli amici Ivana, Gabriella, Cecilia, Lorenzo, Carlo e tutti quelli che hanno
dato una mano. Molto gradita la presenza di don Serafino che si é esibito anche in
declamazione poetica di cui è maestro. Poi la piacevole presenza di ospiti
provenienti da località diverse e in particolare addirittura dal Veneto.
E poi voglio dire una cosa per me molto importante: quando vedo qualcuno che si
emoziona mi sento molto legato a quella persona. Non mi piacciono quelli che non si
emozionano mai! E in effetti gli osservatori più attenti hanno potuto vedere gli
occhi lucidi e lo sguardo emozionato di Luigi nel ricevere i vari regali e le
testimonianze di affetto e vicinanza di parenti ed amici. E poi in tempi come questi
dove trovare momenti di serenità e di allegria è sempre molto difficile noi quassù
all'Aringo, nonostante un anno in cui sono venute a mancare diverse persone care e
dove forse le notizie cattive hanno prevalso sulle buone, guardiamo il nostro
bicchiere mezzo pieno e brindiamo ad un nuovo anno che possa essere migliore.
Anche se non dimentico mai una battuta che è sempre in voga: "lo peggio vè sempre
appressu".
Dicembre 2010
La TV buttata dalla finestra
Mi ricordo abbastanza bene nei primi anni sessanta quando dalle nostre parti iniziò
ad apparire quello strumento meraviglioso e diabolico che si chiama televisione.
Chiaramente in ritardo rispetto alla realtà delle città ma qui da noi da sempre ci si
è abituati ad aspettare il così detto progresso (molte volte abbiamo atteso invano,
ma così vanno le cose della vita) e infatti la TV ebbe i natali già negli anni
cinquanta. In quei tempi ad Aringo, ricordano i più anziani, il primo a scoprire e
a comperare un televisore fu "sor Celeste" che era senz'altro quello tra i paesani
il più all'avanguardia ed anche colui che come si diceva una volta "se la passava
meglio". Immagino che problemi di antenne e di ricezione avrà avuto, ma fatto
sta che la sera almeno i "capi famiglia" andavano alla villa della "sora Pasqua"
(che era la moglie del sor Celeste) a guardare questa scatola magica che iniziava a
tirare fuori i suoi primi e forse genuini programmi che appassionavano e già allora
rivoluzionavano le serate. A proposito della villa in questione mi rattrista un po'
la visione del degrado in cui versa dopo aver conosciuto antico splendore. Ma tutto
questo fa parte del ciclo di come gira il mondo e dovrebbe far capire che spesso a
tanto benessere può subentrare anche un periodo meno bello. Mi scuso della
divagazione e continuo quel racconto in cui i miei ricordi si fanno più nitidi.
E infatti quando il prete (don Giovanni Vacca), mise a disposizione una stanzetta
che poi alla meglio fu allestita con una stufa a legna e alcune sedie, un po tutti
noi anche i più piccoli si poteva andare alle cinque di pomeriggio (allora iniziavano
le trasmissioni) a vedere la nonna del corsaro nero e altri piccoli programmi che
sinceramente non ricordo. E quello è il periodo della televisione che mi è rimasto
nel cuore perché era momento di aggregazione di spensieratezza ed era la scoperta di
un mondo nuovo che prometteva grandi sogni. Poi la televisione come tutti sappiamo è
entrata piano piano violentemente in tutte le nostre case e i risultati li possiamo,
pur con diverse opinioni, analizzare e non possiamo non riconoscere che ormai è la TV
(insieme ad altri mezzi di comunicazione) che detta le regole e fa la cultura delle
persone. Ed allora mi viene in mente il vecchio Tullio che io ritengo sia stato ad
Aringo un filosofo di strada e un precursore di quello che poi è inesorabilmente
avvenuto. Ed in particolare un episodio che sa anche un po di leggenda, quando una
sera stufo di sentire imperversare la televisione sul dialogo e sui rapporti sociali
in famiglia prese quella scatola malefica e la gettò dalla finestra. Il povero Tullio
pensò di essersi liberato per sempre dalla schiavitù mediatica. Spero ardentemente
che almeno lui ci sia riuscito.
Gennaio 2011
Lu Carbonaru
Della carboneria e dei carbonari penso che tutti noi, chi più chi meno, hanno i
ricordi scolastici relativi alla nostra storia d'Italia. A quelle riunioni segrete
e a quegli uomini dobbiamo un ricordo affettuoso e un grazie di cuore perché iniziò
li la liberazione della nostra terra e la successiva unificazione in una nazione.
A proposito facciamo una bella festa per i centocinquanta anni dell'unità d'Italia
alla faccia di coloro che la vorrebbero di nuovo dividere dimenticando tutti coloro
che hanno dato la loro vita per quel nobile fine. E io dico sempre che non si deve
mai dimenticare da dove si è venuti perché la memoria di tutto ciò che si è
conquistato e a quale prezzo è un patrimonio da tramandare per non far ripetere
errori madornali alle future generazioni. Nulla di tutto ciò che abbiamo è scontato
ma va riconquistato giorno per giorno soprattutto la libertà e la democrazia.
Qualcuno si chiederà cosa ci entri tutto ciò con Aringo e io che sono a volte uno
che è rimasto nel passato ho sognato "li carbonari" quelli che ho conosciuto o di
cui ho sentito parlare e mi piacerebbe che anche i vecchi carbonari nostrani
avessero dato un contributo alla storia d'Italia. Certo quelli che io ho visto erano
tutti neri di carbone con i panni laceri e mezzi bruciacchiati e la pelle aggrinzita
e vi devo dire di tutto cuore che non avevano la faccia da eroi. Però facevano un
mestiere anzi io mi azzardo a chiamarla un'arte che è finita nel dimenticatoio come
tante altri mestieri e riferendomi a quello che dicevo sulla memoria dimenticare
tutti i mestieri di una volta credo sia un errore. Perdonatemi io sono colpevolmente
rimasto nel passato per davvero. Però vedere costruire una "carbonera", con tutta la
legna messa in piedi in maniera circolare fino a formare un tronco di cono e poi
ricoprirla di zolle e accenderla e poi aprire dei buchi in maniera che la combustione
avvenisse in quel modo e solo in quello non sarà come una puntata del "grande fratello"
ma forse a qualcuno potrebbe interessare. E poi stare li per giorni in mezzo al bosco
in un capannello di ginestre a controllare, a caricare il carbone con i sacchi e a
costruirne un'altra di carbonera sperduti in mezzo ai boschi più lontani dai paesi
non doveva essere un grandissimo divertimento. Mi sarebbe piaciuto parlare col mitico
"Paolo Chiappa", uno degli ultimi carbonari per avere da lui una spiegazione della
scelta di quel mestiere. Quello che so io è che parlando con una persona a me assai
cara, un giorno mentre mi raccontava la sua storia da giovane emigrato a Roma, mi
disse con grande orgoglio che frustrato dalla vita balorda della metropoli buttò tutto
all'aria per tornarsene a fare "lu carbonaru".
Febbraio 2011
Lu lebbre e la lumaca
Nella vita di tutti noi avvengono giornalmente dei fatti e delle situazioni che ci
colgono di sorpresa e ci sembrano delle cose mai verificate e completamente nuove.
Vedere che il mondo va in una certa direzione e verificare giornalmente che lo spazio
per i più furbi è sempre disponibile e ampio è ormai diventata una cosa normale.
Gli anormali sembrano quelli che vorrebbero che la società premiasse il merito e i
comportamenti sani e corretti. I fatti degli ultimi tempi danno una dimostrazione
lampante di come chi sa prendere delle scorciatoie giuste arriva molto prima e a
mete insperate. Alla gente comune si da in pasto l'illusione che si debba premiare
esclusivamente la capacità e l'impegno e se ne fa una cavallo di battaglia vincente
e poi sotto sotto si lavora nella maniera di sempre, anzi peggio di sempre.
E allora più passa il tempo e più mi convinco che c'è ben poco da inventare a questo
mondo e con il grosso rischio di sembrare monotono e ripetitivo mi sembra opportuno
per i pochi che non la conoscono e per chi non la ricorda, raccontare questa storiella
che da sempre gira nei nostri paesi ed anche ad Aringo. Innanzi tutto ci tengo a
sottolineare che noi la lepre, che è un nome femminile, la facciamo diventare un
animale maschile "lu lebbre" e questo non piacerà a tutti ma il dialetto è dialetto e
non possiamo farci niente. Questo povero animale costretto a correre e pure a correre
molto forte per salvare la pellaccia dall'attacco di predatori vari tra cui (come ti
sbagli) l'uomo, è sinonimo di velocità e sveltezza. Come sappiamo tutti invece la
lumaca è il prototipo della flemma e della lentezza. Nonostante questo si racconta
che un giorno in paese si accese una sfida impossibile tra i due animali: una corsa
dal paese al valico che porta verso il lago di Campotosto che è un percorso molto
bello e panoramico ma è tutta salita. La lepre nella sua ingenuità era straconvinta
di fare una passeggiata mentre la lumaca assai più furba trovava l'accordo con una
sua compagna che viveva di solito su al valico. Partita la corsa con quattro salti
la lepre giunse su al valico ma sul traguardo trovò la falsa lumaca che con fare
strafottente si dichiarava vincitrice della gara. La povera bestiola molto sorpresa
accetto quella sconfitta e avvicinandosi alla viscida interlocutrice gli disse: la
sfida io sicuramente l'ho persa, ma tu non hai di certo la faccia da corridore!
A volte mi lascio trasportare dal sogno di vedere tutti noi al posto e nel ruolo
che meritiamo e vedo una società più equa e più funzionale ma al risveglio trovo
sempre qualche lumaca che arriva prima "dellu lebbre".
Marzo 2011
Siamo tutti "Muntrialesi"
Di solito me la cavo con una storiella, probabilmente anche banale, che cerca di
collegare le vicende del passato con gli avvenimenti che si succedono in maniera
vorticosa e travolgente nell'attualità. La speranza è sempre quella che anche una
piccola storia possa toccare una piccola parte del nostro cuore e magari ci faccia
riflettere e pensare. Questa volta voglio fare il temerario e affrontare un argomento
che dalle nostre parti scotta ed è difficile soluzione. Si è appena spenta l'eco della
festa dei 150 anni di Italia unita e si è riscoperto finalmente un attaccamento
all'appartenenza nazionale e al chiamarsi italiani. Noi quassù dall'Aringo vogliamo
lanciare un appello forte ed accorato verso il nostro territorio comunale: perché non
proviamo almeno per una volta a sentirci tutti appartenenti ad un unico territorio ed
uniti per lo stesso fine? E perché non possiamo chiamarci tutti Monterealesi?
Nel titolo ho voluto usare quel termine dialettale che viene usato nelle frazioni,
a bella posta, perché in quel la parola si legge un qualcosa di poco benevolo che sa
un po' di disprezzo. Cosa che viene da un passato legato a rivalità ed incomprensioni
che non hanno alcun senso di esistere. Se guardiamo nei comuni confinanti e parliamo
con un cittadino di Sivignano quello si dichiarerà orgogliosamente di Capitignano, e
così per uno di Vallemare si dichiarerà Borbontino, e uno di Scai Amatriciano e uno di
San Pellino Cagnanese ecc. ecc. Se invece andiamo nelle nostre frazioni è rimasto
molto forte l'attaccamento frazionistico che si dimostra alla prova dei fatti sempre
più deleterio. Non è dividendo le poche forze che si può cercare una soluzione
all'inesorabile impoverimento delle nostre zone. È un errore irreparabile da parte
delle frazioni più grandi e popolate pensare di avere una propria autonomia e una
propria forza e non guardarsi intorno. Ultimamente il nostro territorio sta avendo
grossi problemi anche a causa di un vuoto amministrativo, però io sono convinto che
le forze per rialzare la testa ci sono e vanno messe in campo. Noi qui ad Aringo
abbiamo dimostrato da sempre una grande attenzione per le cose comuni.
Sono convinto che se vanno bene le cose di tutti andranno ancora più bene gli affari
personali di ognuno di noi. Guardare solo al proprio orticello è una cosa molto in
voga ma non porta lontano. E allora è tempo che Muntriale diventi una volta per tutte
Montereale.
Aprile 2011
"do stea na vota la chiesetta"
Ci sono delle cose , almeno per quanto mi riguarda, che si vorrebbe non fossero
successe oppure che noi non ne avessimo fatto parte. Però nella nostra vita di errori
ne commettiamo tutti, magari c'è chi se ne accorge e chi no, ma riconoscerlo penso sia
una prova di intelligenza. Ad Aringo una di queste fesserie di cui pentirsi, forse
l'abbiamo commessa in quegli anni settanta e ottanta, con l'abbattimento della
chiesetta che stava a "capularingu" e anche e soprattutto della fontana. Erano due
costruzioni antiche, considerate erroneamente di scarso valore, e che stavano in una
posizione (questo non mi è difficile da ammettere) che creava una strettoia alquanto
scomoda per il traffico, a quel tempo in forte incremento, di autotreni e mezzi
pesanti in genere. Fu una decisione presa un po' troppo allegramente ma per quegli
anni tutto ciò che appariva vecchio andava buttato o imbiancato o verniciato.
Per riparare in parte a quello scempio fu deciso di fare un piccolo monumento ai
caduti intorno alla lapide con i nomi dei nostri morti in guerra. Quella lapide stava
attaccata alla facciata della chiesetta e mi ricordo ancora bene il giorno della festa
quando occorreva la scala per posizionare la corona. Fu fatto quel monumento e negli
anni è andato via via a deteriorarsi finchè come al solito ad Aringo ci si è decisi di
intervenire (come di consuetudine in maniera autonoma) e grazie alla associazione
Pro Aringo del presidente Fabio Sciacca e alla collaborazione dell'artigiano Roberto
e di altri volontari si è ristrutturato. E secondo il mio parere e anche secondo
il parere dei più si è fatto veramente un bel lavoro. E soprattutto nell'anno del
nostro centocinquantesimo compleanno dell'unità d'Italia era necessario dare un
segnale forte anche ad Aringo. Non dobbiamo stancarci mai di ricordare quelli che
hanno dato la vita per un ideale e per la propria Patria. Soprattutto in tempi come
questi dove non si è disponibili a nessun tipo di sacrificio. Comunque quando passo
davanti al monumento tutto rinnovato e anche illuminato di notte sono contento, però
il ricordo di quello che c'era e oggi non c'è più rimane forte e struggente e per me
quel posto rimane "do stea na vota la chiesetta".
Maggio 2011
avvenimento storico
Quando si usa questo aggettivo così importante, e spesso lo si fa con disinvoltura, si
deve essere effettivamente di fronte ad un qualcosa di particolare che non accade
tutti i giorni. E certamente questo qualcosa di eccezionalmente importante è successo
ad Aringo in seguito alle ultime elezioni comunali. Possiamo tranquillamente scomodare
la storia per raccontare che una cittadina di Aringo è stata brillantemente eletta nel
consiglio comunale di Montereale. L'ultima volta che ciò è accaduto dovrebbe (uso il
condizionale, perché la cosa è molto imprecisa e un po' controversa) risalire ai primi
anni sessanta quando si narra che fu eletto il mitico Tullio Cicchetti ma la cosa non
ebbe effetti rilevanti da tramandare ai posteri. La storia stavolta sarà sicuramente
positiva perché Francesca Dioletta (questo è il nome della neoeletta) saprà dare
effettivamente un contributo importante per le sorti sia del comune di Montereale sia
per il nostro paese. Queste elezioni sono state veramente una esperienza nuova per il
territorio monterealese in quanto si sono viste in campo diverse energie e sono scesi
in campo, come si usa dire negli ultimi anni, anche persone di elevato spessore
sociale. Tutto questo non può che far piacere a chi vuole bene ai nostri paesi.
Comunque per tornare all'argomento che più ci interessa e cioè all'elezione di
Francesca, che tra l'altro è una giovane studentessa universitaria, noi aringari non
possiamo che essere orgogliosi e contenti di questo evento così raro e sinceramente
anche inaspettato. Sono sicuro che come sempre Aringo si metterà al lavoro per
collaborare con Francesca e i gli altri neoeletti, come ha sempre fatto nel passato.
Ora dopo la festa per la nuova amministrazione ci sarà sicuramente da lavorare sodo
per cercare di portare avanti un comune assai complicato e difficile. Sono sicuro che
i nuovi eletti essendo quasi totalmente nuovi dalle beghe politiche e avendo
certamente come bagaglio l'entusiasmo della gioventù e la voglia di lavorare per il
proprio territorio sapranno dare il meglio. La cosa insolita è che paesi che quasi mai
avevano avuto un rappresentante in comune questa volta si sono presi una piccola
rivincita. Anche perché bisogna tener presente la diminuzione del numero dei
consiglieri. Ma la considerazione che posso trarre da ciò che è accaduto è che quando
dopo un lungo inverno si rivede un po' di sole e si spalancano le finestre quella
ventata di aria fresca che entra ci fa sentire un po' meglio.
Giugno 2011
La sala musica
"Dove c'è musica c'è vita e dove c'è la vita ci deve essere la musica",questa è la
frase che io ho sentito pronunciare da un appassionato e stimato musicista e che mi
sento di apprezzare e di condividere in maniera totale. Poi ognuno, a seconda della
propria cultura, delle proprie tradizioni e dell'età , ha le sue passioni musicali che
spesso si rispecchiano anche con il territorio e la latitudine. Sappiamo benissimo che
anche il clima influenza in maniera determinante il genere musicale. Da sempre l'uomo
si è fatto affascinare dal suono di uno strumento musicale, e questo è avvenuto anche
"all'Aringo" a tal punto che non posso non raccontare un aneddoto che molto
simpaticamente fa capire fino a che punto può arrivare la passione. Si racconta che
una madre un po' in avanti con gli anni un giorno chiamò il suo unico figlio e lo
pregò di andare a Montereale, in comune, ad acquistare un loculo cimiteriale. Il buon
figliolo prese quei soldi che la madre gli aveva così amorevolmente dato e si avviò a
compiere quella lugubre commissione, ma per strada, (pur non essendo la via di Damasco)
fu fulminato dalla sua passione per l'organetto e se andò a Castelfidardo a
comperarsene uno dei migliori. Poi ci sono e ci sono sempre stati coloro che pensano
(soprattutto nei periodi di crisi) che la cultura e anche la musica non si mangiano e
anche quelli hanno diritto di cittadinanza. E mi viene da sorridere quando ripenso al
ritornello che in maniera un po' beffarda rivolgo ai miei amici cacciatori, pescatori
e musicisti. Non l'ho inventato io, l'ho sentito dai vecchi e spero nessuno si offenda
ma il detto fa più o meno così:" cacciatori di terra, pescatori di acqua dolce e
suonatori di ciaramelle fanno le case poverelle". Nonostante questa mia divagazione un
po' controversa il fatto vero è che "all'Aringo" abbiamo una sala musica di livello
professionale e ancora una volta lo gridiamo forte e con orgoglio. Tutta la cronistoria
la racconta Fabio, che con gli amici dell'ARINGROUP, ci ha fatto vivere un bel periodo
e ha regalato al paese e a tutti una struttura veramente importante. Ad Aringo forse
non avremo mai il cantante di grido che in un'oretta si porta via un bel malloppo ma
speriamo di avere in futuro dei piccoli cantanti e dei ragazzi appassionati alla
musica che anche se rischieranno di costruire delle case un pochino poverelle (ma non
per colpa di certo della musica) almeno le faranno allegre e piene di vita. In ogni
caso diciamo ancora una volta grazie a tutti coloro che hanno partecipato e sempre
partecipano a queste grandi iniziative. Aringo vi vuole bene.
Settembre 2011
I conti non tornano mai!
Proprio in un momento come questo, dove ogni giorno e qualsiasi occasione sono quelli
giusti per doverci preoccupare dei conti e dei bilanci sia personali che generali, mi
torna alla memoria una vecchia storia del mio paese. Questa storia fa capire che in
fondo in fondo queste problematiche sono e saranno sempre all'ordine del giorno delle
persone. Oggi nel tanto decantato mondo tecnologico del progresso e della illusoria
conoscenza e del dominio di tanti problemi, sembra che tutti questi fenomeni
dell'economia e della finanza siano scesi dalla luna e si siano accorti che siamo nei
guai. Penso che anche la mia povera nonna che non sapeva neanche cosa fosse la scuola
avrebbe capito che se uno vive in mezzo ai debiti senza mai preoccuparsi di pagarli o
almeno ridurli buona fine non fa di certo. E allora è scontato che nella nostra
esistenza c'è di sicuro un momento in cui qualcuno ci presenta il conto e quel momento
non è facile da affrontare. Quindi la storia di Marietta e silvano che si può
ricondurre a una operetta tragicomica rappresenta uno spaccato di vita e si può
riproporre in qualsiasi epoca. In quei tempi non lontanissimi ad Aringo, come penso in
tantissimi paesi , si conduceva una vita contadina dove forse la moneta era una cosa
rara e si usava il baratto come metodo di pagamento. Si faceva la "spesa" (se la
vogliamo chiamare così) comprando quelle pochissime cose che si cominciavano ad
affacciare sul mercato, tipo "n'etto de conserva", "n'quartu d'ogliu" ecc. e c'era il
fatidico quaderno dove si segnava il tutto e poi si pagava ognuno come poteva.
Silvano e Marietta avrebbero dovuto pagare dando un cambio un maiale che loro
allevavano. Quando arrivò Natale e il momento di fare i conti Silvano che non era un
fenomeno della matematica pregò sua moglie, considerandola più esperta, di andare a
fare quella sgradevole "masciata", ma ella adducendo la ragione che doveva essere
dell'uomo quell'incombenza lo convinse ad andare. E lui partì sapendo in cuor suo che
fare i conti con quel bottegaio molto scaltro non sarebbe stato uno scherzo. Tornò a
casa e Marietta si affrettò ad interrogarlo sull'esito della trattativa, ma Silvano
sconsolato gli disse che la sua preoccupazione era fondata e che se fosse andata lei,
che coi conti ci sapeva fare, forse sarebbe stato meglio. Perché raccontò Silvano il
bottegaio aprendo il quadernone impolverato prese carta e penna e inziò: scrivo tre e
porto quattro, scrivo cinque e riporto sette, insomma tra "scrivo, porto e riporto
mo vanne mpo là e porteje quill'atru porcu". Insomma un maiale solo non sarebbe
bastato e dovendo privarsi anche dell'altro per Silvano e Marietta l'inverno si
presentava molto duro. E quando anche a noi ci diranno di portare "quill'atru porcu"
come lo affronteremo l'inverno?
Ottobre 2011
lu paccu de Natale
Ci stiamo avviando verso l'inverno meteorologico, quello che comincia il ventuno
dicembre, e quest'anno è inutile tenere la testa sotto la sabbia come fanno gli
struzzi, ci aspetta un inverno un pochino più freddo del solito. Le cose non vanno
certamente per il verso giusto e in tutti noi, nel profondo del nostro animo si sta
accumulando un po' di preoccupazione ed amarezza. Tanto quei signori, profumatamente
pagati e con privilegi a non finire, che dovrebbero occuparsi dei problemi di tutti
continuano a giocare con il fuoco e tutto fanno meno che l'interesse di noi popolo
imbrogliato e disorientato. E allora siccome il Natale arriva in ogni caso e almeno
questo valore non ce lo toglierà nessuno penso sia opportuno prepararsi a questa
festa in maniera nuova e forse anche più bella. Chi mi conosce sa che non mi sono mai
riconosciuto in questo mondo un po' falso e dai valori annacquati da ipocrisie e da
illusionisti. E allora ancora una volta rovistando dentro un cassettino della mia
memoria " aringara" cerco di tirarmi su di morale ripensando a quei Natali di quando
eravamo bambini. Chi si ricorda di quando la corriera era uno dei pochi mezzi di
comunicazione nei nostri paesi? Da noi ad Aringo passava la Sota che una volta al
giorno andava a Roma e la sera ritornava dopo un viaggio che dire avventuroso è dire
poco. E quando si avvicinava il Natale davanti all'ufficio postale, che era il punto
di fermata della corriera, si adunava una piccola folla che con pazienza e con speranza
attendeva di essere chiamata dal mitico autista "Cipolla". Quella chiamata significava
che era arrivato "lu paccu de Natale" e allora si correva a casa di gran carriera ad
aprire e scartare quell'attesissimo regalo. Quel pacco era un pensiero dei parenti
emigrati nella città eterna e che a costo anche di un notevole sforzo economico
mandavano al paese a coloro che erano rimasti per lo più anziani e bambini.
Se ripenso al contenuto di quel pacco mi viene ora da sorridere, oltre al panettone e
al torrone bianco e al cioccolato c'erano le arance e i mandarini poi l'uvetta secca
e i datteri e altre cose che ora non ricordo. Immagino se adesso regalassimo ai nostri
bambini cose di questo genere come verrebbero accolte. Invece allora per noi quel
pacco significava che la festa si poteva celebrare davvero. Quanto tempo è passato
era forse meglio allora così ingenui ma sicuramente felici oppure adesso che pensiamo
di essere molto scaltri e furbi ma eternamente scontenti?
Novembre 2011
Come lu porcu a dicembre
Quando arrivava l'inverno, quello vero, all'Aringo ci si preparava a compiere quella
operazione un po' barbara dell'uccisione dei maiali. Era veramente un rito, (che
probabilmente può far rabbrividire quelli che pensano che i salami e i prosciutti
stanno al supermercato e quindi che motivo ci sarebbe a spargere del sangue), che si
aspettava con grande impazienza e si trasformava immancabilmente in festa. C'era
l'addetto a far bollire "lu callaru" e poi colui che doveva entrare nella stalla e
legare la povera bestia, e poi quelli forti che si apprestavano a buttare l'animale
sulla "tina" e a reggerlo in attesa che il norcino di turno gli affondasse un
coltellaccio nella gola. E quegli strilli acuti che si diffondevano agghiaccianti per
tutto il paese. E la "commare" a raccogliere quel sangue che poi veniva mangiato a
pranzo. E gli sfottò mentre si buttava l'acqua bollente per la pelatura e i bambini a
pelare la coda per iniziarli a quel rito così divertente ma che turbava gli animi più
sensibili. E poi la "padellaccia", la "panonta", "lu picone" annaffiati da
abbondante vino fatto in casa e contornati da battute, barzellette, ricordi di un
ruggente passato e perché no qualche rima di canto a braccio. Tutto questo mi riporta
come in un sogno a tempi che ricordo con piacere, ma siccome la realtà è più forte del
sogno, ed è una realtà non proprio bellissima, tengo bene a mente una frase che diceva
nonna quando qualcuno gli chiedeva come stesse. Lei pensava un pochino e poi con la
sua immensa autoironia rispondeva : "sto più o meno come lu porcu a dicembre".
Nonna sentiva la sua precarietà', dovuta alla sua età avanzata, ma soprattutto era
consapevole che a questo mondo chi pensa di essere immortale o insostituibile deve
sapere che arriva sempre un dicembre per tutti. Poi quando andando a scuola mi sono
imbattuto nei poeti del primo novecento , i cosiddetti ermetici, e nella fattispecie
in Ungaretti con la sua famosissima poesia sono rimasto un po' sorpreso. Con quella
espressione "si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" riferita alla condizione
dei soldati in una fase della guerra, il grande poeta aveva spiegato come meglio non
si potesse la condizione umana di quel momento e forse la condizione umana in generale.
E certamente nonna che non conosceva né Ungaretti e nemmeno la poesia, ma conosceva
come andava e va il mondo, con la sua frase "ermetica" mandava un segnale che si
dovrebbe sempre tenere in considerazione. Però se è vero che c'è sempre in agguato un
Dicembre, se lo si supera poi di solito arriva la primavera.
Dicembre 2011
Tempo da lupi
Quando il capofamiglia rincasava ad Aringo, nelle giornate invernali, quelle giornate
in cui il vento e la bufera infilano la neve "dentru li pagliari", infreddolito e
incorniciato di bianco dalla tormenta, si avvicinava con entusiasmo al focaraccio
acceso ed esclamava: ragazzi è un tempo da lupi! E allora noi ragazzini andavamo nel
posto più gradito della nostra casa, quello in cui ci si sente protetti e al calduccio,
ad immaginare e a sognare quella notte che incombeva e ci metteva assai timore. E poi
a fantasticare sul lupo di cui i nostri anziani ci raccontavano le più fantastiche ed
immaginarie storie. Ognuno di loro in qualche modo aveva avuto un incontro con il lupo
(chi per davvero altri inventando parecchio) e le storie che raccontavano ci facevano
rabbrividire assai più del freddo gelido dell'inverno. E poi anche la bella favola di
Cappuccetto Rosso ce lo ha fatto diventare cattivo ed antipatico questo animale così
fiero, così scaltro ed agile ma anche feroce. E poi la lotta dei pastori per
salvaguardare il gregge e gli altri animali domestici e quindi la caccia spietata fino
alla scomparsa totale della specie. E infatti per molti anni noi il lupo non lo
abbiamo mai visto, anzi io non lo avevo visto mai. Ma allora chi ha costruito questo
mondo e ci aveva messo pure il lupo aveva sbagliato tutto? Se è stato messo doveva
avere un ruolo importante, come tutti quelli che stanno su questa terra, e quindi
penso sia ragionevole che sia stato reinserito. E allora pure io che non lo avevo mai
visto l'altro giorno a "Basciani"vicino al bivio di Santa Lucia, in mezzo al prato, ho
notato questa figura così inquietante e di una eleganza inimitabile. Appena mi ha
visto si è girato nel suo modo inconfondibile con il corpo fermo e muovendo solo la
testa, mi ha guardato e con molta calma si è dileguato nel bosco. Sinceramente devo
dire di non avere avuto paura, anzi quell'animale così misterioso mi ha creato una
grande curiosità e mi resta la certezza che alle persone non farà del male. Certamente
se abbiamo gli animali domestici gli dobbiamo stare attento, ma questo a prescindere
dal lupo. E quindi è ritornato il "tempo da lupi" che dicevano gli anziani di allora?
E si, mi sa che quel tempaccio è arrivato davvero, ma i lupi non sono di certo quelli
a quattro zampe e ancora un po' impauriti (perché rimessi in circolazione da poco) ma
stanno in giacca e cravatta, e la bufera non è quella della neve e dell'inverno ma
quella della finanza e dell'imbroglio.
Gennaio 2012
"Sfilatino" e la giustizia
Del mio paese, oltre ai luoghi e agli episodi accaduti nel tempo, mi sono rimaste
nella mente molto nitide le immagini delle persone che per me, anzi per tanti,
sono i personaggi indimenticabili. Chiaramente la visione mia di bambino prima e
ragazzo poi può essere un po' distante dalla realtà, io però preferisco tenermi quei
ricordi e quelle sensazioni così come sono. Uno di questi personaggi, di cui penso di
aver già avuto modo di parlare per altre vicende si chiamava "Sfilatino" e
sinceramente non conosco il motivo di quel soprannome e mai ho avuto la curiosità di
saperlo. A me i soprannomi vanno bene così come sono. Di solito colui che li metteva
ci prendeva sempre. Era emigrato a Roma come tanti , ma era rimasto attaccato in
maniera indissolubile al paese e mi ricordo che appena aveva un giorno libero tornava
di corsa all'Aringo. Diceva in maniera scanzonata e spassosa che lui a Roma non
riusciva a fare "il bisogno" e ritornava a posta su al paese per appartarsi in qualche
luogo a lui caro e dare sfogo alla sua nostalgia. Ma non è questo l'argomento di cui
voglio parlare, bensì di un argomento che in questi anni così burrascosi ha occupato
il dibattito e la scena in maniera molto forte: la giustizia! Tutti noi sappiamo come
funziona e come ha funzionato in questi anni, si è avuta l'impressione di una gestione
complessiva in linea con le caste e gli imbroglioni che ci hanno circondato e ci
circondano. Ma "Sfilatino" cosa c'entra con tutto questo? Negli anni sessanta e
settanta non si parlava di certo di uso politico della giustizia o di giudici
variamente colorati politicamente a seconda delle convenienze, ma io ricordo molto
bene la vicenda in cui incappò il povero Sfilatino e che fu motivo di discussione e
anche divertimento in quei tempi. Sfilatino faceva il giornalaio alla stazione Termini
e un giorno un ladruncolo gli rubò un libro (già di per se il tipo di furto fa pensare
alla dimensione dell'evento) e un solerte poliziotto prese il ladro. Ci fu la denuncia
e partì l'iter che per il povero nostro paesano si trasformò in una specie di incubo
con convocazioni in tribunale, giornate perse, file e malintesi .Finché un giorno ci
fu l'udienza e il giudice rimproverò duramente sfilatino che essendosi distratto era
arrivato un po' in ritardo. E lui si difese: signor giudice mi sa che vi siete
sbagliati, io non ho fatto niente, sono solo stato derubato! E giù un altro rimprovero
per il poveruomo. E allora giunse alla conclusione che se qualcuno gli avesse rubato
qualcosa gli avrebbe pagato anche da bere affinché non si facesse prendere e
denunciare. A meno che, diceva a modo suo, non riformino la giustizia. Sfilatino non
ha potuto ricordarlo credo che la speranza che possiamo ricordarlo noi è molto flebile.
Febbraio 2011
Il coraggio di Agostino
Quando mi accingo a parlare di persone in generale e di quelle di Aringo in particolare
ho sempre qualche timore di andare a toccare la sensibilità di qualcuno, perché magari
il mio punto di vista sicuramente non collima con quello di altre persone legate al
personaggio in questione. Ma io per mia indole personale delle cose del passato e dei
ricordi in genere cerco sempre di estrapolare delle cose positive. Ma nella piccola
storia che vado a raccontare non c'è assolutamente nulla da temere, anzi parlando
giorni fa con il figlio di questo personaggio, il mio amico Virgilio, e ricordando
brevemente quella vicenda mi è sembrato doveroso ricordare il coraggio di Agostino.
Non vi aspettate chissà quale avventura straordinaria potesse accadere nel nostro
paese circa sessanta anni fa, però da bambini quando i grandi parlavano di Agostino
in noi c'era sempre meraviglia e ammirazione. Agostino come tanti in quel tempo andava
con il suo fedele somaro a "repià na sometta de legna" e mentre caricava "lu mastu"
improvvisamente sotto "nu cioccu de cerru" spuntò la tanto temuta testa della vipera
che con mossa velocissima morse la mano del pover'uomo. Probabilmente lui non era
stato molto attento e non aveva usato tutte le precauzioni che anche a noi hanno
insegnato e cioè che sotto un legno o un sasso bisogna sempre essere attenti e
spostarlo con un attrezzo o con gli scarponi. Fatto sta che Agostino si trovò da solo
nel bosco e lontano dal paese e anche dalla tecnologia che oggi avrebbe fatto giungere
l'elicottero in pochi minuti. Però lui non si perse d'animo e siccome da sempre quando
si andava in campagna "l'accetta" non si lasciava mai, Agostino con la prima accettata
taglio la testa alla vipera e poi con il coraggio che forse solo loro avevano rivolse
l'arnese sulla sua mano e recise il dito morsicato. Quella mano con quattro dita era
in paese l'emblema e il monito che c'è in agguato sempre qualcosa e qualcuno pronti
a farci del male e che quel pericolo può spuntare in qualsiasi momento e soprattutto
quando meno te l'aspetti. E allora portiamo sempre con noi "l'accetta" e cerchiamo di
stare attenti a dove mettiamo le mani , ma siccome siamo circondati da vipere, nascoste
da tutte le parti, se veniamo azzannati , tagliamo la testa al serpente come fece il
buon Agostino, ma poi come anche lui fece per ammettere un piccolo errore tagliamo
anche la nostra parte contaminata.
Ottobre 2014
Quella P finale
Ora che va ad iniziare il nuovo anno tutti noi come sempre speriamo che possa essere
un po' meglio del precedente, che si porti via la mala sorte e la malattia (come
cantava De Gregori) e tutte le altre brutture che abbiamo visto nella nostra malandata
Italia. Anche da qui ad Aringo, dove sembra che certe cose ci riguardino poco in
quanto lontani dalla cosi detta civiltà, mi viene un moto di sdegno e di riprovazione
nell'assistere alla formulazione di certe sentenze contro i potenti, al solito
balletto della politica, all'annuncio entusiastico dei giornalisti (o ciechi e sordi o
ben pagati) che una multinazionale australiana verrebbe a Milano a costruire l'ennesimo
centro commerciale creando chissà quale sviluppo economico, e altre mille nefandezze
contro i più deboli , ma soprattutto l'inizio dei crolli dei balconi delle tanto
decantate case dell'Aquila. Quelle stesse case costate l'ira di Dio a tutti i cittadini
italiani e cioè almeno tre volte il costo di una casa fatta con tutti i criteri.
Giustamente quelle case fatte in fretta e furia qualche piccolo difetto lo possono
avere e allora la grande furbizia all'italiana ha pensato bene di mettere un nome
appropriato, anzi una sigla appropriata e li ha chiamati "MAP", come ha chiamato
"MUSP" le nuove scuole ecc. Se si nota bene quella "P" finale che significa provvisorio
è veramente un toccasana in quanto se un modulo abitativo è provvisorio può cadere da
un momento all'altro. L'unica cosa che il costo non era affatto per qualcosa di
provvisorio. Paradossalmente questa vicenda mi ha fatto subito tornare alla mente
una storia che si raccontava ad Aringo e che fotografa abbastanza bene questa
situazione. In pratica non ci inventiamo nulla noi "moderni" e questa storiella di due
compari di tanti anni fa capire come cambiano i tempi e le risorse a disposizione ma
gli uomini e soprattutto gli italiani non cambiano mai. Allora un buon uomo si stava
facendo costruire un forno dal compare muratore e si raccomandava che il lavoro fosse
ben fatto. Il muratore rassicurava l'amico e finito il lavoro si fece pagare
immediatamente e si allontanò. Aveva fatto qualche centinaia di metri che il forno
crollò e il compare trafelato lo richiamò protestando vivacemente. il muratore con
molta pacatezza e non perdendosi assolutamente d'animo rispose al compare: "compà ma
che pensavi che lu furnu durea sempre?" insomma quel concetto di provvisorio è una
eredità che costudiamo molto bene.
Novembre 2014
Un autunno avaro
Quando si proviene dalla cultura contadina, e soprattutto dalla cultura contadina di
montagna come io mi permetto di chiamare le nostre zone con altimetria intorno ai
mille metri e a volte anche superiore, si è abituati ad accontentarsi di poco nei
raccolti della nostra terra. Magari la qualità delle nostre cose penso sia fuori
discussione ma certamente non siamo mai stati abituati a raccolti come nelle pianure e
a livelli altimetrici molto più bassi. Però questo autunno qui ad Aringo e dintorni ci
ha lasciato con l'amaro in bocca in quanto alcuni prodotti, che io reputo di assoluto
valore, sono stati praticamente assenti. Voglio iniziare a parlare dei funghi porcini
che per tutta la stagione hanno registrato una presenza veramente ai minimi storici
compensata in parte da buona presenza dei galletti,e anche se il mio pensiero rimane
che " non se fau le nozze co li fugni" quelle belle camminate nei nostri boschi alla
ricerca del re dei funghi sono mancate eccome. Ma la delusione più grande ha
riguardato tutto il settore della frutta, infatti sono stati rarissimi gli alberi che
hanno portato a termine qualche frutto, e soprattutto delle castagne. Io chiaramente
sono molto partigiano e a volte anche fazioso nel difendere le nostre cose ma il
sapore delle nostre castagne penso sia veramente imbattibile. Quest'anno riusciremo a
stento ad assaggiarle perché è stato veramente un miracolo trovare una pianta che si è
salvata dal disastro di questa pessima stagione. I castagneti italiani già da qualche
anno erano stati attaccati dalla malattia importata dalla Cina (la nostra bravura
nell'importare tutto il peggio del mondo non ha limiti!) e già quello aveva ridotto
un po' dappertutto la produzione, ma quest'anno si è toccato il fondo in quanto sono
intervenute altre malattie che hanno azzerato la produzione. Sappiamo che in molte
zone sia le olive che anche l'uva hanno subito più o meno la stessa situazione quindi
la povera agricoltura italiana già massacrata da una cieca politica esterofila ha
subito un altro colpo mortale. In fondo noi ad Aringo per quest'anno faremo a meno
delle castagne, delle noci, delle mele e anche dei funghi ," buoni da seccare e buoni
da mangiare e farci il sugo quando viene Natale come diceva De Gregori" e affrontiamo
lo stesso l'inverno con la speranza di sempre, che dopo una brutta stagione deve
arrivarne di sicuro una più bella.
Dicembre 2014
Il gambero
Da quando si è iniziato ha camminare un po' all'indietro, nella nostra società e nel
nostro mondo fatto di illusioni, mi è ritornato alla mente un animaletto che popolava
i nostri fiumi e ruscelli. Adesso tutti parlano del gambero e del camminare
all'incontrario come se fosse una cosa vista e rivista, ma è solo una similitudine
immaginaria perché sfido (tranne quelli con una certa età) a sapere che cos'è un
gambero in quanto sono più di quarant'anni che quella specie è scomparsa dai nostri
corsi d'acqua. Si conoscono certamente i gamberi di mare, i gamberoni ecc. che
troviamo nelle pescherie, congelati o già cotti nei ristoranti come piatto molto
prelibato. Quei gamberi nostrani con quel sapore e quel colore penso sia molto
difficile da imitare. Ci sono alcuni allevamenti in zona che un pochino fanno
ricordare il piccolo gambero di fiume ma è assai lontano da quello che io da
adolescente ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere. Certo se ripenso a
quelle serate in cui i più grandi si organizzavano per andare a prendere i gamberi
nel fiume con le lampadine tascabili, con grande circospezione come se si stesse
compiendo un'impresa difficile e non certo lecita. Noi più piccoli stavamo nelle
retrovie e ci sentivamo complici di un qualcosa che sinceramente non capivamo.
Poi si faceva una cena con tutti i partecipanti tranne i ragazzini e si andava fieri
di quell'impresa notturna, che come tutte le cose vietate, da sempre una forte dose
di adrenalina. Ricordo appena un paio di quelle uscite, erano i primi anni settanta,
poi più è andato avanti il progresso più sono spariti i gamberi di fiume, ma non
perché si andava a prenderli ma per gli scarichi pieni di veleni che cominciavano ad
invadere i nostri piccoli corsi d'acqua. Quelle bestiole così delicate erano un
termometro fondamentale per la pulizia delle acque e per la possibilità di sopravvivere
nell'ambiente naturale. I danni fatti negli ultimi quarant'anni non potevano
assolutamente permettere la vita alle specie più delicate e hanno intaccato fortemente
anche le altre e anche l'uomo. Chissà che con il camminare un po' all'indietro non si
possa invertire anche questa brutta tendenza e non si comincino a rivedere anche i
gamberi nei corsi d'acqua di Aringo.
Gennaio 2015
Colazione dalle sette alle nove
E' un bel po' di tempo che ho quasi il rifiuto di ascoltare quello che dicono le
televisioni e leggo poco anche i giornali. Mi sono accorto con colpevole ritardo che
l'informazione, quella dove girano i soldi tanto per capirci, è tutta legata mani e
piedi ai poteri politici e soprattutto economici, e quindi ci dicono quello che a loro
fa comodo e io credo a poco o niente di ciò che giornalmente ci propinano. Però una
notizia che ho sentito l'altro giorno e cioè che quattro milioni di Italiani durante
questo inverno sono andati o andranno in settimana bianca (speriamo che sia vera!) mi
ha rallegrato e mi ha fatto ricordare una storiella di alcuni anni fa. Si perché un
gruppo di baldi aringari un po' di tempo fa partirono per questa avventura insieme a
degli amici di Roma, che avevano organizzato il tutto. Chiaramente i paesani erano
inesperti di settimane bianche, anche se mamma mia diceva ironicamente che lei ne
aveva passate di settimane "bianche" in mezzo alla nostra neve che purtroppo crea solo
disagi. In ogni caso con il solito spirito di adattamento e la voglia di divertirsi si
arrivò nella mitica Val Gardena e si prese conoscenza dell'albergo dove chiaramente i
nostri aringari non è che fossero andati spesso. Comunque ci fu nella prima serata la
massima informazione su tutto quello che si sarebbe fatto il giorno dopo da parte del
capo comitiva con tutte le raccomandazioni del caso ad iniziare dalla colazione dalle
sette alle nove. Un paio dei nostri paesani presi un po' dall'euforia e un po' dalla
situazione non abituale dormirono poco e alle sette in punto si presentarono al buffet
della colazione dove c'era ogni ben di Dio. L'addetto rimase stupito dalla puntualità
e vide più volte i due fare il giro del tavolo per prendere ancora cose da mangiare.
Quando più tardi si incontrarono con il capo comitiva questi chiese loro come fosse
andata la colazione e i due baldi aringari con mestizia e rassegnazione spiegarono
che la cosa era andata male e che forse sarebbero ripartiti subito perché loro avevano
provato a mangiare dalle sette ma alle otto e trentacinque non ce la fecero più e
quindi avevano disatteso la prima indicazione della colazione dalle sette fino alle
nove. Il malcapitato organizzatore preso alla sprovvista non sapeva se i due
scherzavano oppure fossero davvero così imbranati, comunque fu quella la prima di una
serie di risate sane, e io le chiamo di paese, che allietarono quella settimana.
E nacque così la storia che ancora oggi gira ad Aringo della colazione dalle sette
alle nove.
Febbraio 2015
Quando c'era la scuola
Io sono stato tra gli ultimi a frequentare la scuola di Aringo ma sono stato tra i
primi ad inaugurare l'edificio costruito nei primi anni sessanta che era una vera e
propria scuola. Prima si andava in qualche casa del paese che aveva una stanza da
prestare a un servizio scolastico molto approssimativo dal punto di vista
organizzativo. Erano i tempi in cui gli alunni dovevano portare "lu pezzarellu" per
scaldarsi e dove si finiva spesso con il granturco sotto le ginocchia, dove in
pratica frequentare la scuola era un vero e proprio banco di prova per avviarsi a
diventare uomini e donne. Spesso si prendevano dal maestro (con la società maschilista
di quei tempi era raro che ci fosse una maestra nelle nostre scuole) bacchettate sulle
mani, schiaffoni sonori ed io ricordo un maestro che aveva un anello molto vistoso al
dito e con quello affibbiava delle "carocchie" (così lui le chiamava) in testa che
erano un vero attentato all'incolumità. Insomma a quei tempi se non eri uno studente
modello la scuola poteva diventare una tortura. Più volte si dibatte se la scuola di
oggi è migliore di quella di una volta e i pareri rimangono discordanti. Certo quella
scuola autoritaria e a volte violenta non è da rimpiangere assolutamente ma adesso si
è passati come è solito in Italia da un estremo all'altro. Prima erano gli alunni ad
avere timore in classe, forse adesso in alcuni casi sono i docenti a non essere
proprio tranquilli. In ogni caso spesso mi soffermo a ricordare la mia pluriclasse di
Aringo e rivedo spesso i compagni e il ricordo di quei tempi mi fa fare una
riflessione che è molto consona con l'andamento delle cose nel mondo odierno.
Tutti noi appena finito l'orario scolastico (alcuni addirittura uscivano anche un po'
prima) avevano altri compiti da fare nell'aiutare la famiglia andando a pascolare
pecore, vacche e fare tutti i mestieri possibili e immaginabili dell'epoca. E quella
io la chiamo la scuola della vita che ha temprato intere generazioni di ragazzi e
ragazze che poi hanno permesso all'Italia di diventare un grande paese. Dai nostri
paesi, anche dai più piccoli, sono partiti degli adolescenti con una corteccia
d'acciaio,forgiati da quella scuola di vita,pronti a conquistare il mondo.
Avevano una forza fisica ma soprattutto morale per affrontare qualsiasi difficoltà.
Ora dovrei parlare della scuola di adesso e dei giovani che noi abbiamo creato.
Tanta comunicazione, tanta conoscenza di nozioni, alcune eccellenze che vanno
all'estero a trovare fortuna, ancora purtroppo tanti figli di, ma la massa se avesse
potuto frequentare quella scuola di Aringo mattina e (soprattutto) pomeriggio,
avrebbe sicuramente meno paura del futuro.
Marzo 2015
Sei anni dopo
Non mi piace assolutamente ricordare le cose spiacevoli, soprattutto quelle più
brutte che segnano addirittura la vita delle persone in maniera indelebile, però
quando si avvicina il sei Aprile non si può fare a meno di andare con la memoria a
quella notte. Quello che successe ognuno di noi lo ha impresso nella memoria e
difficilmente lo dimenticherà, sarà un ricordo e un incubo che ci accompagnerà per
tutta la nostra vita. Mi ricordo che all'indomani dell'evento scrissi alcune cose,
spinto da un qualcosa che mi faceva andare molto controcorrente rispetto alle
sensazioni del momento, in cui auspicavo una pronta ripresa e una gestione delle
risorse per ricostruire seria e consona al dramma che era avvenuto. Una cosa che
pensavo allora e che ho sempre pensato è che il terremoto si combatte solo ed
esclusivamente quando si costruisce, purtroppo sto vedendo costruzioni più alte di
prima e fatte con criteri non proprio condivisibili e al lavoro non vedo
assolutamente i nostri artigiani che avevano una vita di esperienza, ma molta
improvvisazione. Molto bene la fiaccolata e i trecentonove rintocchi nel ricordo di
coloro che hanno pagato con la propria vita, però dobbiamo fare qualcosa in più
perché la nostra città torni a vivere. Finora si è visto solo l'assalto alla
diligenza dei fondi per la ricostruzione, noi dal nostro osservatorio di Aringo ne
abbiamo viste di cotte e di crude. Lo smembramento dell'Aquila in molteplici piccoli
satelliti a mio parere non è stata la soluzione migliore, si deve provare a rimettere
in piedi la vecchia città, credo non sarà molto facile. Quest'anno il sei Aprile è
capitato il giorno di Pasquetta, con un tempo inclemente, ma fortunatamente ad Aringo
in molti sono tornati a respirare una boccata d'aria paesana (per la verità molto
fredda) e il paese è tornato per tre o quattro giorni a vivere. Ho rivisto con
piacere i vecchi amici e con loro si è cominciato a dare uno sguardo ai problemi
lasciati dall'inverno e provare a rimetterci in moto per risolverne qualcuno.
La cosa che mi da forza e speranza è che gli amici che stanno a Roma hanno sempre
grandi iniziative ed entusiasmo da riversare nel nostro paese e di questo li ringrazio
perché soprattutto in prossimità del sei Aprile ne abbiamo veramente bisogno.
Aprile 2015
Trenta aringari sul barcone
Quando sentivo parlare di questa storia dagli anziani del paese sinceramente non gli
ho mai dato un peso o una importanza in quanto , è quasi sempre così, se le cose sono
lontane o non ne conosci il significato le tratti con leggerezza e distacco.
La storia è quella, e spero di non andare troppo lontano dalla realtà, di trenta
ragazzi di Aringo che agli inizi del secolo scorso, spinti da una situazione
economica e sociale disastrosa decisero di andare in America. Immagino a quel
tempo in un piccolo paese che però era molto popolato, veder partire tutta la
gioventù che sensazione potesse creare e immagino anche la disperazione che poteva
spingere quei ragazzi ad andare a cercare l'America. Si ad Aringo quella frase andare
a cercare l'America ancora oggi viene usata. Cosa da non sottovalutare e da tenere in
grande attenzione è che in quei tempi partivano soltanto coloro che erano forti, gli
altri restavano a casa dove potevano avere una protezione maggiore. Sinceramente non
so molti dettagli di quei viaggi delle navi o di quello che poi succedeva, qualcuno
mi ha parlato solo di quarantena e di mani spaccate dalla fatica. Per quanto riguarda
il viaggio mi è venuta alla mente la frase di De Gregori "la prima classe costa mille
lire, la seconda cento e la terza dolore e spavento" che penso riguardasse gli
emigranti di allora. Qualche giorno fa parlavo con alcune persone di questi drammi
odierni di chi va ancora "cercando l'America" e mi sono venuti i brividi nel sentire
che se quei barconi vanno in fondo al mare è una cosa quasi giusta e che una buona
percentuale di Italiani la pensa così. Certo gli aringari non portarono con loro
donne e bambini, questi scappano in massa da situazioni di disastro e se potessimo
guardarli in faccia forse un po' assomigliano a quei trenta intrepidi. Capisco che
questo è un argomento molto duro da affrontare, si può cadere facilmente nella
retorica del buonismo o essere cinici e pensare che abbiamo tanti problemi noi che
non è possibile caricarsi tutti i guai del mondo. E' un problema serio e di non certo
facile soluzione, a volte penso che se fosse affondato il barcone dove salirono i
nostri trenta forse molti di noi non starebbero qui. Certo il mondo cambia, gira in
maniera volte scomposta ma il problema è che purtroppo c'è sempre qualcuno che deve
necessariamente salire su un barcone a "cercare l'America".
Maggio 2015
"Do so iti quilli tempi"
Qualche giorno fa mentre si parlava con degli amici del più e del meno, uno se ne è
uscito con quella frase che io avevo sentito spesso nel tempo passato e pensavo che
fosse stata messa nel dimenticatoio. Nonna la diceva spesso a noi come monito quando
facevamo qualcosa che a lei non quadrava si arrabbiava e ci urlava: do so iti quilli
tempi. Sinceramente io non capivo il significato di quella frase e a volte rispondevo
pure in malo modo perché il rimpiangere quei tempi passati che tutti dicevano essere
più brutti di quelli presenti mi sembrava una bestemmia. Invece l'altro giorno, come
dicevo, nel pieno della discussione sulla situazione attuale che come vediamo
giornalmente non è delle migliori, quella frase mi ha colpito e mi sono detto tra me
e me che forse nonna, come al solito aveva ragione. Tutto questo progresso sbandierato
ai quattro venti, tutta questa tecnologia, tutta questa comunicazione, tutte queste
illusioni e dall'altra faccia della medaglia ci faranno mangiare il formaggio fatto
con qualche polvere misteriosa, né sappiamo se il pane si continuerà a fare ancora
con la farina. Per quanto riguarda il vino pure nonna diceva "a quilli tempi" che si
poteva fare anche con l'uva. Solo alcune cose non cambiano mai infatti in quasi tutte
le fasi storiche, per esempio, gli strozzini (gli amici romani li chiamano cravattari)
ci stanno sempre, pure ad Aringo e nei paesi simili c'era questa figura inquietante.
Magari d'inverno se ti trovavi in difficoltà ti prestavano una "coppa" di grano o
una "astarella di patate e ti tenevano in scacco per tutta la stagione successiva,
però alla fine era pure un modo umanitario di soccorso che aveva anche un ottimo
rapporto umano. Adesso "i cravattai" non si conoscono, stanno ben nascosti, parlano
altre lingue, nessuno sa dove vivono, ti prestano i tuoi soldi e ti portano "pe
capezza" dove vogliono loro. Tutto questo lo fanno con intere nazioni e con interi
popoli. E ti dicono: non ti preoccupare se hai un grosso debito perché (molto
ingenuamente lo diceva anche la pora nonna) tutti ti pregano la salute. Ma purtroppo
non è così come dicono questi scienziati dell'economia che ci hanno invitato da
sempre a consumare di più e a sproposito tanto poi qualcuno pagherà. Nonna diceva
tante cose ma una la ribadiva più e più volte: guarda come fa la formica e lascia
perde il canto della cicala, metti una mollichella vicino all'altra perché l'inverno
è lungo e freddo. Non gli abbiamo dato retta e allora dico con rammarico "do è ita
nonna e do so iti quilli tempi".
Luglio 2015
Sorprese d'estate
Anche questa estate caldissima è passata e come al solito Aringo si è riempito di
persone che vogliono bene a questo borgo. Mi è parso che ci sia stato un movimento in
crescita rispetto all'anno scorso e quindi possiamo essere contenti tutti quelli che
hanno a cuore il nostro paese. Tra le varie iniziative, una mi ha veramente fatto
piacere perché ha riguardato i bambini e il campo di calcio. Tutti vogliamo bene ai
bambini, alcuni di noi vogliono bene al calcio, quello vero fatto senza soldi e
interessi, e quindi non possiamo che ringraziare alcune persone che si sono dedicate
con grande passione alla prima edizione "stracalciando Aringo 2015". Inizierei da
Roberto Partenza che si è fatto carico con un lavoro veramente oneroso, oltre alla
cura del nostro bellissimo parco giochi, anche del campo di calcio ottenendo un
manto erboso molto bello, poi l'ideatore della manifestazione Danilo Ciogli e il
collaboratore Gianni Di Maddalena. L'iniziativa si prefiggeva di aggregare bambini
dai quattro ai quattordici anni al fine di sviluppare l'unione di attività
ludico-sportive e soprattutto socializzazione e insegnamento dei valori dello sport
ritornando ai principi Decudìbertiani oggi messi colpevolmente da parte. Rivedere il
nostro campo pieno di una quarantina di bambini,non solo di Aringo ma anche di altre
frazioni, è stato veramente emozionante e quelle corse, quell'allegria, quei colori
sull'erba ci hanno fatto ritornare all'entusiasmo di quando fu costruito il campo e
per noi ragazzi era un sogno che si avverava. Con l'aiuto di qualche sponsor e una
piccola quota di iscrizione è stato dato ai bambini un kit (maglia pantaloncini
pallone e zainetto) e anche un'estate di impegno sportivo e divertimento staccandoli
un po' dai malefici giochi virtuali che purtroppo occupano molto del loro tempo.
Tutto è pronto per la seconda edizione con la speranza che sia ancora più bella,
comunque grazie di cuore agli organizzatori. Poi non posso non soffermarmi su un
avvenimento molto importante come il rinnovo del consiglio di amministrazione
dell'Aringo Club con l'elezione di Mauro Scarpellini presidente, Dario Tudini
vicepresidente, Rosy Aiello tesoriere, Fabio Di Gianfrancesco segretario e Luigi
Franti, Danilo Ciogli, Fabiana Badei consiglieri. Per quanto riguarda i revisori
abbiamo Andrea Mariani presidente e Mario Polidori e Roberto D'Amico consiglieri.
Mi sembra doveroso ringraziare il presidente uscente Fabio D'Amico e tutti i
consiglieri per l'ottimo lavoro ultradecennale con risultati di cui spesso qui
abbiamo parlato e fare un caloroso in bocca al lupo al nuovo consiglio perché si
possano raggiungere altri ambiziosi traguardi. Una cosa è certa non mancherà la
collaborazione di tanti aringari che vogliono bene ad Aringo.
Settembre 2015
A dormì co nonna
Quante volte la nomino la "pora nonna" che penso si sia abbastanza stufata di essere
tirata in ballo, ma questa espressione dell'andare a dormire con nonna era una battuta
molto simpatica che si usava ad Aringo in altri tempi. Erano i tempi in cui in Italia
e anche ad Aringo nascevano tanti bambini e la popolazione tendeva ad essere molto
giovane, ora purtroppo si va in direzione opposta e come sappiamo tutti la nascita di
un bambino è un evento molto eccezionale. Comunque ricordo molto bene quella volta
che un personaggio del paese stava per diventare nonno e gli furono fatti gli auguri,
lui non si scompose affatto e molto ironicamente rispose che quella cosa gli faceva
molto piacere, perché aveva molti lati positivi uno dei quali era quello di farlo
ritornare bambino. Allo stupore dell'altro gli disse che siccome lui da bambino aveva
per molto tempo dormito con sua nonna , ora avrebbe ricominciato a farlo di nuovo.
Certamente questa battuta non piacque a sua moglie che gli portò il broncio per molto
tempo. A dire il vero io questa storiella l'ho fatta un po' mia e spesso quando c'è
l'occasione che qualche amico raggiunge il bel traguardo di avere un nipotino,
gli ripropongo questa battuta dell'andare "a dormì co nonna" che alcuni ci mettono un
po' a capire, ma poi ci scappa sempre una risata. Chi mi conosce sa che un mio grande
difetto è quello di assimilare le cose che accadono in un piccolo paese alle cose che
poi governano la storia e le sorti del mondo in generale. Molte volte probabilmente
non ci azzecco ma qualche volta si. In ogni caso una considerazione su questo
argomento che è di attualità per una generazione un po' datata (come dicono quelli di
un certo lignaggio sociale) la possiamo fare. Una volta c'era un nonno e dieci
nipotini, ora c'è un nipotino e dieci nonni. Questo fa parte sempre di quella visione
del mondo che io ho da tempo e cioè di una situazione un pochino sottosopra,
soprattutto per i popoli cosi detti "evoluti" che pensano a tutto meno che a una
cosa fondamentale, che se non si fanno figli tutto quel bagaglio (a dir la verità
molto poco ci è rimasto) che dovremmo trasmettere a qualcuno ce lo portiamo
tragicamente nella tomba. Io nel mio piccolo coltivo una piccola speranza (nessuno lo
dica a mia moglie) ma che nel futuro mi ritocchi di andare "a dormì co nonna" non mi
dispiace affatto.
Ottobre 2015
"La panonta"
Quando finisce un anno, come sempre, si cerca di fare un bilancio di tutto quello che
è accaduto, di tutte le cose che ricordiamo con piacere e di tutte quelle cose che
purtroppo vorremmo cancellare. Non riesco mai ad avere la lucidità per fare una
scelta sulla cosa più clamorosa che ci può far annotare con piacere il 2015 come anno
da ricordare. Noi , come al solito, qui ad Aringo abbiamo un angolo di valutazione
molto ristretto per poter argomentare su quale sia il vero terrorismo e sulla sua
grave brutalità, se siano da piangere di più i morti di Parigi o quelli della Siria o
dell'America o dell'Africa o di qualsiasi parte del mondo dove si perpetra la violenza
e l'odio. E il povero papa Francesco che predica dei valori che sono imprescindibili
per qualsiasi religione e qualsiasi società civile e invece è circondato da una serie
di sciacalli vestiti con saio e tonaca che a volte nel sentire certe cose viene da
rabbrividire. Ma scusate l'argomento che volevo trattare è di tutt'altro genere e che
di questi tempi dalle nostre parti ti riconcilia con il buon umore (purtroppo non con
il colesterolo!) ed è la panonta o palonta il termine giusto non so quale sia.
Quello che so di sicuro è che per dimenticare i o accantonare tutte le nefandezze e
le sciagure che ci sfiorano e ci circondano e che qualche volta ci colpiscono pure
l'unico metodo che conosco è quello di rifugiarsi nelle piccole grandi cose di una
volta. Come già detto una di queste è la panonta, un pasto semplice e vigoroso dal
profumo e dal sapore nostrano che è impossibile esportare altrove, va mangiata quando
fa freddo e magari "bufa" e ci vuole il camino e il prodotto dei nostri maiali e non
certo quello dei centri commerciali. "fuori fa freddo e tira la bufera e mamma me la
fa la colazione, npezzu e ventresca e na sargiccia nera abbrusulita npunta de
spidone, poi mi chiama e mi dice eccola è pronta la saporita e rustica panonta".
Questo è uno spezzone di poesia che girava per le nostre montagne quando
sopravvivere era difficile ma non impossibile, quando bastava poco per avere la forza
di combattere. Quando una panonta e un buon bicchiere di vino alzavano la temperatura
del pianeta, senza inquinamento o emissioni più o meno dannose, che oggi invece ci
ossessionano la vita. In ogni caso se andiamo a dire in giro che mangiamo questi
cibi, qui ad Aringo e dintorni, quelli che hanno studiato si affretteranno a dire che
fanno malissimo. A noi non ci interessa, preferiamo farci male con la panonta nostra
e non" campare cent'anni" con le porcherie che fanno arrivare da tutto il mondo.
La globalizzazione come detto più volte ci sta facendo dimenticare tutta la nostra
storia e la nostra cultura, noi all'Aringo almeno qualcosa proviamo a salvarla.
Infine non posso esimermi dal salutare con piacere le iniziative del nuovo consiglio
dell'Aringo Club.
Dicembre 2015
La pensione
Alcuni di noi sono cresciuti con la colonna sonora di cantautori che negli anni
sessanta e settanta hanno sfornato moltissime canzoni che ancora oggi, come tutte le
cose che hanno a che fare con l'arte, sono di strettissima attualità. Mi ricordo tra
le altre una canzone di Francesco Guccini che faceva più o meno così: "mio padre in
fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante" e questa frase
all'epoca non suscitava in me grande entusiasmo in quanto da adolescenti o da
ragazzotti non si ha la percezione di cosa volesse dire veramente quella frase.
Poi nel tempo, pian piano che si cresce, ci si accorge di tutte quelle cose belle o
brutte che succedono e infine oggi ci ritroviamo nella situazione che conosciamo
soprattutto per la gestione scellerata della questione pensione. Mi ricordo che ad
Aringo e dintorni, ma purtroppo in tutta Italia, tutte le persone che avevano
superato i quarantacinque anni supportati da scelte politiche clientelari facevano
la domanda di pensione per invalidità e a seconda delle conoscenze e della parte
politica riuscivano ad ottenerla. Tutto questo ha generato un rilassamento e la corsa
a un reddito sicuro con poca fatica e quindi lo sfaldamento economico delle nostre
zone e di tutte le zone interne italiane. Non la causa principale ma una delle più
importanti. In tutto questo devo rimarcare un episodio successo ad Aringo in quel
periodo quando, come dicevo prima, tanti andavano alle visite mediche per l'invalidità
e un personaggio del paese, anche lui preso dalla corsa alla facile pensione,dopo aver
sostenuto la visita si rivolse al medico con l'orgoglio paesano con una frase che è
passata alla storia in paese: "dottò, se tu me la dà la pensione i me la pijo, ma
recordete che stengo in perfetta salute". Questa frase così ingenua e spontanea fa
capire quale fosse il clima del tempo, diventi un invalido e poi mi voti all'elezioni
in stile perfettamente italiano. Adesso invece che sono stati fatti danni irreparabili
e in pensione ,forse, si andrà a 67 anni e oltre i nostri bravi politicanti fanno da
scudo a tutte le nefandezze fatte con il fatidico motto: "diritti acquisiti". Io ho
fatto una autocritica verso pensioni piccole date anche ingiustamente a povera gente,
ma quelle erano fatte apposta per rendere tutti complici e loro costruirsi pensioni e
stipendi d'oro così siamo tutti ladri chi prende quattrocento e chi
trenta-quarantamila euro e oltre. Certamente il nostro personaggio aringaro che adesso
non c'è più se avesse visto come stanno andando le cose quella frase probabilmente non
l'avrebbe mai detta e la pensione se la sarebbe presa pure lui.
Gennaio 2016
Le nozze co li fugni
Negli ultimi tempi mi sembra di vivere un sogno nel sentire e nel vedere certe cose che
contrastano fortemente con la realtà. Si parla in maniera ossessiva dei matrimoni,
della famiglia e di tanti problemi e aspetti sociali ora che i matrimoni e le famiglie
direi che sono un po' come le mosche bianche. Nei bei tempi passati qui ad Aringo e nei
paesi vicini si celebravano tanti matrimoni ed erano degli appuntamenti molto
importanti e se parlava per molto tempo. Si facevano delle feste molto belle dove
partecipavano tutti i paesani, si dimenticavano per un giorno tutte le beghe e i
problemi che anche nei nostri piccoli paesi c'erano. Per quanto riguarda le famiglie,
questo è un discorso molto complicato in quanto non possiamo dire che non ci fossero
problemi allora, però nonostante tutto, quei valori erano fortemente sentiti da tutti
e anche se a volte era l'ipocrisia che la faceva da padrona, si cercava in ogni maniera
di tenere unite le persone che componevano un nucleo familiare. Adesso il mondo è
totalmente cambiato, non voglio e non posso giudicare se in meglio o in peggio, abbiamo
una gamma di cosiddette famiglie dove troviamo le situazioni più disparate con coppie
non sposate, famiglie allargate, coppie di fatto e altre situazioni che non mi dilungo
a elencare. Negli ultimi anni con grandi difficoltà sono uscite allo scoperto anche le
coppie omosessuali e questo ha creato e crea uno scontro ideologico e culturale
sfruttato anche politicamente da gente che della famiglia non è che abbia tanta
considerazione. Si scende in piazza nell'uno e nell'altro fronte e c'è un fortissimo
scontro in parlamento per varare una legge che può piacere o no. Però anche qui ad
Aringo si diceva che quando puoi dare un diritto a qualcuno senza ledere i diritti
degli altri si compie un'opera di democrazia. L'unico grande rischio, ritornando alla
cultura un pochino grezza e semplice dei nostri paesi, è quello di fare "le nozze co li
fugni" che una cosa che una volta si cercava di scongiurare assolutamente. Questa
metafora così graffiante stava significare che per fare un matrimonio ci voleva e ci
vuole molta sostanza e non superficialità, soprattutto quando ci sono di mezzo dei
bambini. In questo mondo che io vedo un po' sottosopra, c'è da raddrizzare molte cose e
anche il concetto di famiglia. Poi se nel menù del pranzo del matrimonio ci mettiamo
"li fugni" penso che ci possa passare sopra.
Febbraio 2016
La staccionata
Sin dai tempi dell'antichità, l'uomo ha sempre cercato di appropriarsi di un territorio
e ha costruito delle protezioni intorno ad esso per non permetter che altri potessero
dare un qualche fastidio o problema. Se andiamo a ritroso nella storia e nelle più
antiche e importanti civiltà troviamo,partendo dalla grande muraglia cinese, che
immagino sia la più grande opera di questo genere, a tutte le opere murarie in tutte le
città importanti fino ad arrivare ai muretti in pietra a secco delle nostre zone che
delimitavano i piccoli terreni, la volontà dell'uomo di non permettere intromissioni
nel suo territorio. Anche qui ad Aringo e in tutti i paesini del circondario, ma penso
un po' dovunque in giro per l'Italia e anche fuori, troviamo i resti di questi muretti
fatti sicuramente con grande fatica e anche in posti molto lontani e scomodi da
raggiungere. Poi nell'andare del tempo si è iniziato ad usare il legno per costruire
dei divisori per non far scappare i propri animali e per non permettere a quelli degli
altri di entrare. Con il legno e poi con l'avvento del filo spinato e la rete si è
riusciti a costruire molto più facilmente delle staccionate. Poi con l'abbandono della
terra dalle nostre parti sono cadute un po' tutte le barriere e se qualche temerario
vuole coltivare un pezzo di terra è costretto sul serio a costruire una recinzione
assai robusta, altrimenti tra gli animali domestici tenuti allo stato brado e quelli
selvatici in continuo aumento non si raccoglierebbe niente. Ma la cosa che mi stupisce
molto è che si è lottato in Europa per togliere qualsiasi tipo di barriera e con vari
trattati si era arrivati alla circolazione quasi libera in tantissimi paesi, anche in
questo caso la storia è durata poco e come stiamo sentendo e vedendo negli ultimi anni,
con l'avvento di grandi spostamenti di popoli verso l'Europa tutti sono pronti a
costruire staccionate e muri ai confini del proprio stato. Certamente alcuni stati con
posizione geografica favorevole potrebbero avere un risultato positivo nel chiudersi
nel proprio guscio, altri come l'Italia, la Grecia i non credo possano costruire molto
visti i tantissimi chilometri di coste da proteggere. L'esperienza insegna che prima o
poi tutti i muri e tutte le staccionate crollano e il Papa dice di fare ponti e non muri.
Siccome il problema è molto serio vorrei stemperarlo con una storiella probabilmente
leggendaria che girava ad Aringo. Si raccontava che in un paese vicino iniziò la
costruzione di una grande staccionata per non far sentire le campane nuove ai paesi
limitrofi. Anche in tempi non sospetti si cercava di preservare le proprie cose a
dispetto di altri, l'unica cosa che non so è se quell'opera sia stata mai ultimata o è
in fase di costruzione come le tante opere italiane che non si terminano mai!
Marzo 2016
La frittata di pasqua
Anche quest'anno ,nonostante tutte le problematiche che continuano a preoccuparci, nei
locali dell'Aringo Club ci siamo riuniti per la colazione di Pasqua che è diventato un
appuntamento molto sentito. Anche se la Pasqua è capitata molto bassa (così mi sembra
che si dice quando capita di Marzo) c'è stata una buona presenza ed è stata l'occasione
per incontrare gli amici di sempre. Ho passato un bel pomeriggio del sabato Santo
davanti ad una bottiglia di buon vino, che io mi ostino ancora a fare come si faceva
una volta, insieme a Fabio e Angela, parlando e ricordando tante e tante cose condivise
nel passato e da condividere ancora nel futuro. Ma ritornando alla colazione devo dire
che c'era ogni ben di Dio come al solito negli appuntamenti conviviali di Aringo.
Però frequentando altre realtà limitrofe ho visto che tanti fanno per l'occasione una
frittata che può comprendere diversi ingredienti. Nei miei ricordi giovanili che ormai
purtroppo vanno un bel po' indietro nel tempo io ad Aringo non ho mai visto la frittata
nel giorno di Pasqua, quindi sicuramente non appartiene alla nostra cultura.
Noi ci siamo sempre limitati alle uova sode e al salame, benedetti in precedenza dal
prete che correttamente veniva a benedire le case sempre prima della Pasqua.
Ho affrontato il tema della frittata perché il fascino di un piatto in cui ognuno si
può sbizzarrire come vuole è forte e possiamo tutti noi dare una ricetta che può
risultare gustosissima. Quella di Pasqua ha due ingredienti fondamentali che sono la
coratella di agnello e i carciofi. Poi qualcuno ci mette anche le budelline di agnello
altri la salsiccia e altre cose che vanno sempre sul gusto forte. Questa tradizione va
rispettata e va anche tramandata ai giovani perché rappresenta sempre un pezzo della
nostra cultura contadina che non c'è più. Anche se la cultura del nostro passato dava
una visione un po' negativa del concetto frittata in quanto le espressioni "hai fatto
una frittata" e "non si fa la frittata senza rompere le uova" non sono propriamente
positive. Forse per questo noi ad Aringo la frittata nel giorno di Pasqua non l'abbiamo
mai fatta. Anche se in giro per il mondo di frittate se ne fanno tutti i giorni creando
tutti quei casini che conosciamo chi ha delle tradizioni positive continui sempre a
portarle avanti sperando possano sconfiggere quelli che le tradizioni le vogliono
distruggere.
Aprile 2016
Le nozze d'oro
Il ventiquattro Aprile dopo tanti anni è ricaduto di domenica e una coppia di miei cari
amici, Rolando e Dina, ha festeggiato la bellezza di cinquant'anni di matrimonio, che
di questi tempi è una cosa veramente rara. Questi miei amici non sono di Aringo, ma è
come se lo fossero perché essendo di un paese vicino io ritengo che per cultura, per
origini e per tanti motivi ci possiamo sentire paesani. Innanzi tutto voglio fare,
anche se in colpevole ritardo, tanti auguri alla coppia con cui ho passato e spero di
passare ancora delle bellissime giornate e poi voglio raccontare una piccola storia
legata al loro matrimonio e a me che al quel tempo ero ancora un bambino. Di solito io
preferisco non parlare di me, a volte racconto delle cose che ho vissuto ma le
trasferisco a personaggi immaginari, invece questa volta voglio dire le cose come sono
realmente accadute. Non si pensi che chissà quale grande storia io possa raccontare, è
soltanto un piccolo passo di vita vissuta di un periodo molto lontano dal mondo di oggi
sia per il tanto tempo passato che per la diversità delle situazioni. Io a quel tempo
non conoscevo sicuramente né Rolando né Dina ma quella famosa domenica de
millenovecentosessantasei, io non avevo ancora dieci anni, mi toccava come sempre di
andare a pascolare le nostre tre o quattro mucche anche perché mio padre quel giorno
era andato a servire il pranzo di quegli sposi. Di solito di domenica se era libero ci
andava lui con le vacche, ma quando gli capitava qualche lavoretto tipo un matrimonio
o un banchetto mio padre andava per arrotondare le scarse risorse di quei tempi. Allora
i matrimoni si facevano in casa (adesso purtroppo non si fanno più e questa cosa fa
parte delle tante belle abitudini perse) e si mobilitavano in molti per cucinare
servire e fare tutta la preparazione di una festa che era molto sentita e molto bella.
Comunque io quel giorno lo ricordo in maniera indelebile perché ad un certo punto una
vitella ,che forse per la prima volta avevo fatto uscire dalla stalla,, comincio a
correre come impazzita e scappò andando ad incastrarsi in mezzo a degli spini e lì
venne fuori tutto il bambino che ero e iniziai a piangere disperato fino a che non
arrivò il vecchio Orlando che stava nei paraggi e riprese quella povera bestiola e mi
tranquillizzò. Quando tanti anni dopo ho conosciuto Rolando e Dina e ho ricollegato
le due vicende di quel ventiquattro aprile ci abbiamo riso sopra. Però adesso quando
vedo un bambino di nove anni e ripenso a quei tempi mi sembra che le cose vissute
allora anche dai bambini siano quasi incredibili. Allora purtroppo o per fortuna,
chissà, si doveva crescere molto in fretta.
Maggio 2016
Tinte di giallo
Quando sento certe cose che succedono in giro per la nostra martoriata Italia, come
tanti di noi , mi indigno fortemente. Vedere una ragazza ammazzata e poi bruciata e
sentire che avrebbe chiesto aiuto e quel qualcuno che è passato non ha potuto o
(purtroppo) voluto fare qualcosa mi fa rabbrividire. Una cosa del genere nei nostri
paesi e anche ad Aringo per fortuna è difficile che accada, però così d'impeto, per
come siamo abituati noi, sembrerebbe assurdo non soccorrere qualcuno in difficoltà.
Poi però riflettendo bene mi rendo conto che la vita, nelle città soprattutto, crea
delle diffidenze e delle paure verso tutto e tutti e quindi non credo si possa
condannare nessuno. La cosa che poi mi fa soffrire di più è l'uso mediatico di queste
vicende dove le televisioni e i giornali sembra non aspettino altro per andare a
sciacallare in maniera a volte disgustosa. Comunque questo mio sfogo ha un senso in
quanto ad Aringo il 4 giugno c'è stato un appuntamento veramente interessante che è
molto inerente a questo tema. Il nostro paese è piccolo, ha molte difficoltà, ma tira
fuori sempre grandissime risorse. Una di queste è l'amico Armando Palmegiani esperto
della scena del crimine, laureato in Psicologia Clinica che nel corso della sua
carriera si è occupato di moltissimi casi di cronaca, tra i quali, la bomba di via
dei Georgofili nel 93 a Firenze, l'omicidio di Marta Russo, l'omicidio di Ilaria Alpi
e Miran Hrovatin e tanti altri. Da ragazzo ad Aringo, insieme ad altri pezzi forti
dell'epoca organizzava delle cacce al tesoro memorabili e già si intravvedevano le
qualità. Ad essere sincero non immaginavo che oltre a fare una grande carriera
professionale, insieme ad un giornalista investigativo Fabio Sanvitale, si metteva a
scrivere dei libri su alcuni casi di crimini tra i più efferati della storia d'Italia.
Dicevo che l'amico Armando ci ha fatto l'onore di presentare ad Aringo il suo ultimo
lavoro dal titolo Sacro Sangue, che parla di un fatto successo , come si può
immaginare dal titolo in Vaticano. Questo libro non l'ho ancora letto, ma siccome ho
letto gli altri quattro vi assicuro che ho trovato dei lavori veramente ben fatti,
veramente un bel mix tra il giornalista e l'esperto di crimine. Poi questi sono
argomenti che ti prendono perché sono fatti accaduti realmente e fanno parte della
nostra vita. E' stata una bellissima serata, dove ci siamo ritrovati in tanti amici
nei locali dell'Aringo Club che ha offerto ai presenti come al solito un ottimo
buffet. Un grazie di cuore ad Armando che oltre al piacere della sua presenza ha
donato all'Aringo Club i proventi dei numerosi libri venduti nella serata.
Ancora una volta con orgoglio posso dire che nonostante tutto Aringo si fa onore.
Giugno 2016
Non si apprezza il bene se non è perduto!
Quando si va avanti con l'età di solito si acquista saggezza e si riesce ad avere una
visione della vita molto più distaccata ed equilibrata. Quando si è giovani invece si
pensa il contrario e si vedono le persone più anziane come fuori tempo e a volte
anche fuori luogo. Faccio queste considerazioni adesso e voglio essere onesto fino
in fondo, trent'anni fa forse avrei pensato diversamente. Infatti nel tempo della
gioventù e della spensieratezza e a volte anche della poca responsabilità, quando i
genitori mi facevano qualche rimprovero, io come tutti allora e soprattutto anche
oggi, pensavo che fosse un modo un po' scocciante ed esagerato di riprendermi.
E di conseguenza a volte rispondevo in maniera sbagliata e mio padre alla fine diceva
una frase che in quel momento io non capivo ma che mi sono ricordato sempre nel tempo.
La frase diceva così : non si apprezza il bene se non è perduto, ma io come gli altri
ragazzi di allora non avevamo certamente una mente allenata alla filosofia e alla
metafora graffiante e ridevamo con leggerezza alle raccomandazioni delle persone che
avevano una grande esperienza di vita. Ora quando discutiamo sulla situazione attuale,
sulla grave crisi, sui problemi che incombono, devo riconoscere che la nostra
generazione ha combinato dei bei casini e che le raccomandazioni degli anziani di
allora erano giuste. Abbiamo creduto, un po' tutti, che le conquiste ottenute con
sacrifici enormi di intere generazioni, fossero cose scontate e che sarebbero durate
sempre. Invece la democrazia, la libertà, il benessere vanno conquistati giorno dopo
giorno e bisogna essere sempre vigili e attenti perché a conquistare una cosa ci
vuole una vita a perderla è un attimo. Io dico sempre che se qualcuno ci lascia in
eredità una qualsiasi cosa, una piccola cosa o anche un grande patrimonio quelle cose
hanno poco valore perché non sappiamo la fatica e il sudore che qualcuno ha fatto
per ottenerla. Quando si ha la fortuna di avere i genitori che ti fanno trovare tutto
pronto tutto in ordine per il figlio quello è tutto dovuto e tutto scontato, poi quel
giorno che non ci sono più ti accorgi in un attimo che non era così come pensavi e la
sorpresa è amarissima e allora quella frase che mio padre ripeteva spesso la fai tua
e ti riempie la vita di rimorsi e di rimpianti. Ad Aringo a me è successo questo,
penso che succede dappertutto così, io è già da un po' di tempo che vado ripetendo
quella frase, ma mi guardano e pensano che sia diventato petulante e un po'
rincitrullito come pensavo io trenta o quarant'anni fa. Purtroppo o per fortuna
l'esperienze della vita non è possibile insegnarle, ognuno deve viverle in proprio e
che il destino ce la mandi buona.
Luglio 2016
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